Ricardo intervistato da Riccardo. Una “Chat oltreoceano con il Blog di Riccardo Amato”. Così recita il promemoria appena arrivato via e – mail. Ricardo Ritossa da San Paolo (Brasile) ci racconta il calcio brasiliano. Quel circo in cui divertimento, allegria e passione danzano all’unisono. Un luogo immaginario dove nascono i campioni di domani.
Il calcio sudamericano che ispira, un mondo che racchiude grandi occasioni ed è fonte di riscatto per alcuni tra i più talentuosi calciatori del pianeta. Tra le finte di Neymar e le aspettative targate Qatar 2022, un viaggio tra presente e futuro, senza mai dimenticare le nostre origini, le prime volte, le vittorie e i sogni di gloria.
Buonasera Ricardo. Come nasce la tua passione per il calcio?
“In famiglia c’era particolare interesse, soprattutto da parte di papà per il Palmeiras, “la squadra degli italiani in Brasile”. Io sentivo gli sfottò e questa passione è stata inevitabilmente trasmessa anche a me. Quando ero piccolo andavano in scena i mondiali del 70 e iniziavo a sentire dell’importanza dei campionati brasiliani e del calcio in Sudamerica”.
Che calcio era e qual è stata l’evoluzione del futbol?
“È cambiato tutto dai tempi di Pelè o Eusebio. Contavano molto il fisico e forse il livello dei giocatori era meno tecnico. Tuttavia si prestava meno attenzione alla strategia a favore del talento, delle individualità. Dal mio punto di vista il calcio di oggi è migliorato ed è più interessante per la presenza di tattica, intensità e competitività”.
Si può chiedere a un brasiliano chi sia stato il calciatore più forte di tutti i tempi?
“Ti riferisci a Pelè o a Maradona? Non guardo i gol o le statistiche, ma alle grandi gesta di questi campioni. Negli anni sessanta si organizzavano vere e proprie esibizioni per il Santos di Pelè. Per la prima volta una squadra di calcio girava il mondo per giocare contro le Nazionali. In quelle occasioni tanti gol di Pelè non furono contati. Ecco perché il paragone basato sulle realizzazioni diventa difficile. Ciò che è certo è che parliamo di vere e proprie superstar, il mondo è cambiato dopo aver conosciuto queste nuove stelle. Una sorta di anticipazione di quel fenomeno che oggi chiamiamo globalizzazione. Incredibile”.
Il calcio brasiliano è profondamente legato al tessuto sociale e alle famiglie di questi grandi atleti. Se pensiamo agli anni novanta e duemila mi vengono in mente Ronaldo e Kakà. Due famiglie ben diverse alle loro spalle e un grande sogno in comune.
“È vero, Kakà aveva alle sue spalle una famiglia benestante, a differenza del Fenomeno. Sono spesso i genitori nelle famiglie povere a indicare la strada del calcio ai propri figli, ed è così anche oggi. Pensare di portare a casa centomila dollari è una prospettiva allettante, una somma in grado di mantenere tutta la famiglia. Ronaldo nasce a Rio, gioca con il Cruzeiro di Belo Horizonte e poi trova la fortuna all’estero, diventando “Fenomeno” nella stagione 1997/1998, quella del Pallone d’Oro. Kakà è stato il giocatore più promettente del San Paolo per poi lasciare a bocca aperta una intera generazione con la maglia del Milan”.
Quanto è difficile comprendere le reali potenzialità di un talento brasiliano?
“Alcuni giocatori sbocciano tardi, magari a 20 anni. È il caso di Gabriel Jesus, assoluto protagonista della formazione Sub 20 del Palmeiras. Un talento che ha sempre segnato ma che si poteva definire diamante allo stato grezzo, solo in seguito lavorato dalle sapienti mani di Pep Guardiola al Manchester City. All’inizio su di lui c’era scetticismo. Si arriva però a un certo punto in cui non si riesce più a trattenere un grande giocatore. Colpa anche dell’esposizione mediatica e della promessa di una migliore qualità della vita”.
Seduti al tavolo ci sono un italiano, un inglese e un brasiliano. Spiega agli altri due perché siete voi la patria del gioco più bello del mondo.
“(Ricardo sorride) Il calcio è lo sport più popolare, coinvolge famiglie, ragazzi e negli ultimi anni anche le ragazze. Ti rispondo ripercorrendo la storia sportiva di questa Nazione. Prima dei mondiali giocati in Svezia nel 1958, formazioni come Italia, Uruguay e Germania erano superiori alla nostra per storia e tradizione. Poi ecco il successo, con il primo titolo del Brasile e un certo Pelé capace di salire sul tetto del mondo per ben altre due volte. Gli anni ’70 ci dicono qualcosa di più sulla patria del calcio, se così vogliamo chiamarla. Vincere tre mondiali non è una cosa per tutti. Il sentimento che prevale tra i brasiliani è quell’orgoglio misto a senso di appartenenza. Dal 1964 al 1979 ci furono i militari al governo e valori come unità e patriottismo si mescolarono ad alcuni principi tipici del calcio. Possiamo dire con orgoglio di essere gli unici ad aver partecipato a tutti i mondiali che sono stati organizzati. Questo (parlo a italiani e inglesi, ride di nuovo) me lo dovete concedere”.
La sensazione è che i calciatori brasiliani siano sempre allegri, è davvero così?
“Il calcio è una festa. La convivialità dei calciatori fuori dal campo è un tratto caratteristico di noi brasiliani e un grande beneficio per il gioco. È la natura del popolo brasiliano: molto cordiale, aperto, che sa scherzare e ballare. La nostra gente è semplice e vuole divertirsi. L’allegria unita a questa atmosfera di fraternità sono nel nostro dna. Ecco perché esistono poche difficoltà nello spogliatoio. I grandi giocatori sono ben accolti, viene dato loro sostegno e vengono spronati a dare il meglio. Altro che gelosia o invidia. Prima e dopo la partita si sta tutti insieme, il calcio è condivisone e allegria”.
Presentaci le più importanti formazioni che militano nel Campeonato Brasileiro di Serie A
“Il Flamengo, con i suoi 40 milioni tifosi, è oggi paragonabile a una potenza calcistica come il Bayern Monaco. La novità del nostro calcio è che ai nastri di partenza si presentano almeno altre cinque o sei squadre competitive. Se guardiamo all’Italia, il Flamengo è un po’ come la Juventus; il Corinthians (club di San Paolo) ha vissuto una lenta decadenza negli ultimi anni (dopo l’ultimo trionfo del 2017 la tifoseria è calata) e potremmo accostarlo alla Lazio. Il Palmeiras, con 15 milioni di appassionati, vale l’Inter o il Milan. In seconda battuta, ma non meno importanti, troviamo Fluminense, Atletico di Belo Horizonte e poi ancora le due squadre “gauchas” di Porto Alegre (Internacional e Gremio). Infine merita attenzione il San Paolo, ora guidato dal nuovo tecnico Crespo”.
Trovi delle analogie tra il calcio brasiliano e quello italiano? La passione per il gioco e l’eccesso di giudizi da parte dei giornalisti, ad esempio.
“L’anno scorso il campionato è stato entusiasmante, una lotta fino all’ultima giornata. Per i media è stato il massimo. Anche qui si cambiano spesso gli allenatori, parlerei quasi di una vera e propria crisi di tecnici. Capita spesso che vengano mandati via a metà stagione con la squadra ancora nel pieno della competizione. Sicuramente il peso di tifosi e stampa è avvertito sulle spalle dei giocatori. Devi essere bravo a non farti condizionare. Ad esempio, l’allenatore del Palmeiras, Abel Ferreira, ha idee vincenti e si è dimostrato umile, intelligente e moderno. A volte è importante seguire il proprio istinto e non farsi condizionare dall’esterno”.
Il calcio brasiliano e le sue stelle: chi dobbiamo tenere d’occhio in vista del prossimo calciomercato?
“Io scommetterei sui giovani di Flamengo e Palmeiras. Due formazioni già proiettate al futuro, grazie a scelte ben precise. Infatti più della metà della rosa del Palmeiras è costituita da atleti dai 18 ai 22 anni. In particolare Gabriel Menino (classe 2000) è un giocatore versatile, Gabriel Veron (classe 2002) un giocatore veloce e tecnico, Patrick De Paula (nato nel 1999) una vera e propria diga davanti alla difesa. Una stella che brilla e che conosciamo tutti è quella di Gabriel Barbosa, detto Gabigol. L’ex Inter può essere a volte un grattacapo per l’allenatore, ma i suoi gol aiutano la squadra. Tra i pali dico Hugo Souza, portiere classe ’99 del Flamengo”.
Tra un anno sarà tempo di Mondiali in Qatar. Quanto vale il Brasile e qual è l’obiettivo?
“Sicuramente abbiamo calciatori bravi, nutro qualche dubbio sull’allenatore: deve avere la capacità di scegliere i migliori in quel momento. La scelta spesso non è obiettiva, ma politica. Tite è un allenatore un po’ conservatore, poco moderno, il suo è un “gioco burocratico”. Non lo invidio. Tuttavia nel calcio non si può mai sapere come andrà a finire. Pensa che esiste un’espressione brasiliana che dice appunto “queste cose succedono solo nel calcio”. La Francia è la mia favorita. Non basta avere i giocatori migliori, serve curare l’aspetto psicologico.
In conclusione, come sarà il calcio del futuro?
“Credo che quando smetteranno Cristiano Ronaldo e Messi qualcosa cambierà. Mi piace il calcio di oggi perché oltre a tecnica, strategia e tattica c’è grande equilibrio. Tante squadre possono puntare a fare bene. Un allenatore deve essere pragmatico e un calciatore deve essere consapevole che certi treni passano una volta sola”.
Riccardo Amato