In soccorso del talento: intervista a Michele Sbravati

Giovane, talentuoso e italiano. Possibilmente ligure. Il prototipo del calciatore moderno, un atleta intelligente in grado di riconoscere la realtà che lo circonda. Compiendo un passo in avanti e uno indietro, ci interroghiamo sul ruolo dei vivai in Italia, un attimo prima dell’atteso debutto nel calcio dei grandi. Ne parliamo con Michele Sbravati, Responsabile del Settore giovanile del Genoa CFC. Un’oasi felice dove nascono i campioni del domani e dove si coltivano valori per il calcio e per la vita.

 

I deludenti risultati delle squadre italiane in Europa ci inducono a una riflessione sul sistema e sul percorso dei nostri ragazzi. Tra voglia di progettare (seguendo l’esempio europeo) e maggiore attenzione al Settore Giovanile, siamo sicuri che sia questa la strada da seguire? 

“Negli ultimi anni stiamo osservando una inversione di tendenza. C’è più spazio per i giovani (anche se i dati ci dicono che altre realtà sono più virtuose) e le scelte del commissario tecnico della Nazionale italiana Roberto Mancini lo confermano. In particolare l’età media dei reparti di centrocampo e attacco si è notevolmente abbassata. Questo approccio ha aiutato sicuramente alcuni ragazzi a credere di più in se stessi”.

 

Sembra inevitabile un “ma”…

“C’è un problema: la concorrenza straniera anche nei Settori giovanili è una realtà che si sta consolidando. In Primavera vediamo tanti ragazzi stranieri in Italia come nei Paesi più sviluppati rispetto alle tematiche del calcio giovanile. Una controtendenza che complica un po’ i piani”.

 

Il Genoa da questo punto di vista è una eccezione. I vostri valori (senso di appartenenza, “genoanità”, storia e tradizione) sono quelli di una vera e propria famiglia.

“Ogni società possiede un proprio DNA, la storia del Genoa è davvero gloriosa. A noi preme trasmettere quegli aspetti etici e di comportamento essenziali per conoscere e apprezzare il nostro ambiente. I ragazzi devono sapere chi rappresentano quando indossano la maglia, anche rispetto ai tifosi. I nostri allenatori, i dirigenti oltre che i calciatori stessi sono i primi tifosi del Genoa. Anche Michele Sbravati sa cosa rappresenta”.

 

Come si traduce tutto questo sul campo?

“Dal punto di vista tecnico ci occupiamo del rispetto di alcune linee guida essenziali. In campo la proposta dev’essere coraggiosa e costruttiva ma non deve portare all’esasperazione. Anche il calcio risente delle mode e dei nuovi trend, ora è molto in voga la costruzione dal basso, che necessita di giocatori coraggiosi. La nostra idea è che nel calcio la parola chiave sia “dipende”. Qual è la scelta migliore? Dipende da diversi fattori”.

 

Anche il calciatore moderno sta cambiando.

“Esattamente. Il concetto di calciatore “pensante” sarà sostituito a breve da riconoscente, perché di volta in volta sa riconoscere situazioni e scegliere il meglio per sé e per la propria squadra. Si tratta di un salto concettuale importante che aiuta a comprendere l’evoluzione di questo sport”.  

 

All’interno della vostra realtà, parliamo delle strutture e degli investimenti in un contesto particolare come il territorio della Liguria.

“Non ci nascondiamo, esistono delle difficoltà ma guardiamo il bicchiere mezzo pieno. Quelle lacune che stiamo cercando di colmare possono diventare un’occasione per rafforzare la personalità dei ragazzi e la loro capacità di adattamento. Una zona di non comfort che induce una sopportazione da parte dei ragazzi (ad esempio su alcuni aspetti organizzativi, orari, spogliatoi e attrezzature) da un lato e un grande spirito dall’altro. Indubbiamente un centro sportivo esclusivo di proprietà del Club ci permetterebbe un importante salto di qualità per il futuro”.

 

Come è organizzata la vostra rete di scouting?

“L’area scouting è così organizzata: abbiamo un’area scouting locale (che comprende il territorio ligure e riguarda soprattutto l’attività di base) e un’area scouting nazionale. Andiamo contro lo stereotipo che in Liguria “sia difficile creare calciatori”. Il nostro lavoro ci racconta dei fatti differenti. Ti do un dato: sono 149 i giocatori del nostro vivaio diventati professionisti durante l’era Preziosi, di cui un terzo liguri. Ci piace pensare che sia corretto valorizzare anche quei giocatori tra i 12 e i 14 anni non ancora pronti. È proprio qui che bisogna intervenire, in un secondo momento sarà fondamentale la figura dell’allenatore della prima squadra”.

 

Quale step ritiene più importante tra la selezione e la gestione del giovane calciatore?

“La selezione è importante ma la gestione del calciatore, intesa come accompagnamento nel percorso e nel suo miglioramento, lo è ancora di più. Abbiamo fatto debuttare tre giocatori a 16 anni in Serie A. Bisogna essere in grado di affrontare anche le difficoltà. Questi risultati provengono da sano lavoro, equilibrio e pazienza. Gli stessi giocatori sono stati magari scartati da grandi club perché considerati non ancora pronti sotto certi punti di vista. Noi siamo stati pazienti e lungimiranti”. 

 

Tanti potenziali campioni si sono persi. In soccorso del talento, cosa succede dopo il grande salto? 

“Arrivare è difficile ma rimanere è ancora più complicato. Nel nostro lavoro diventa essenziale la gestione delle eccezioni: un esempio è dato dalla precocità di un ragazzo e dai suoi tempi di valutazione. Va tutelata la componente psicologica delle figure che accompagnano il calciatore: genitori, procuratori e amici, che con consigli sbagliati potrebbero illudere o disilludere un ragazzo ancora fragile. A volte agire sulla testa oltre che sulla tecnica si rileva la scelta migliore”.

 

La sfera psicologica si sta sempre più allargando rispetto a una realtà che diventa sempre più complessa.

“Parliamo degli aspetti emotivi, relazionali e affettivi: bisogna lavorare, stiamo parlando del cuore della questione. Parlare col ragazzo, far capire pregi e difetti di questo mondo, crescere insieme. Immaginiamo il calcio come la scuola: il miglioramento in una materia come la matematica presuppone lo stesso approccio sul campo, ad esempio con il controllo orientato. La conoscenza dei singoli argomenti è importante, comprendere l’errore e da lì ripartire lo è ancora di più. Per questo consigliamo un dialogo con i ragazzi, non una sterile teoria ma una psicologia applicata allo sport e incline a seguire le sue numerose sfaccettature”.

 

Il calcio è sempre più veloce e le aspettative sempre più alte. Sente che nel suo lavoro sia obbligatorio incidere subito? 

“A mio modo di vedere esistono due tempi: la tempistica della costruzione e quella della valorizzazione. La premessa è che l’equilibrio non possa mai mancare. Capita a tutti di osservare un giocatore illusoriamente completo, con il rischio di valutazioni affrettate e un probabile contraccolpo psicologico futuro per il ragazzo. Qui intervengono allenatori e staff all’altezza e da questo punto di vista noi dobbiamo essere grati agli istruttori che hanno lavorato con noi in questi anni”.

 

Si riferisce anche al calcio dei più grandi?

“Il ruolo dei media e la diffusione di una comunicazione sbagliata comportano delle responsabilità. Esaltare un calciatore dopo due partite non va bene, serve equilibrio, così come denigrarlo di fronte a qualche errore. Con i giovani serve pazienza. In Italia invece noto un eccesso di giudizio, alimentato nei talk show e condizionato anche dal fatto che si gioca tanto e si cambia spesso opinione”. 

 

In conclusione, un motivo di grande soddisfazione personale?

“Lavoro con passione da circa 20 anni in questo mondo e sono davvero soddisfatto del percorso. Credo che per esercitare questa professione servano una grande vocazione e una predisposizione particolare. La grande continuità lavorativa garantita dal Genoa nel Settore giovanile potrebbe essere la chiave dei risultati ottenuti”. 

Riccardo Amato 

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Un commento

  1. Una persona di buon senso
    Efficace nella psicologia
    Efficace nella comunicazione
    Efficace nelle scelte tecniche e costruzione

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